La Cappella del Beato Manetto — la prima da sinistra nel coro della SS. Annunziata di Firenze — fu dei Signori dell'Antella (1) dal 1360, anno nel quale la rilevarono dalla Famiglia Squarcialupi, per volere di Amerigo di Giovanni Antellese, discendente del Beato Manette, uno dei sette fondatori dell'ordine dei Servi di Maria. Distrutta nel XV secolo per dar posto a uno dei pilastri sui quali si impiantò la grande cupola della tribuna, ebbe nuova sede, in accordo con il Marchese Gonzaga, all'interno della tribuna, nel 1475. Sull'altare fu collocata dapprima la tavola coi Santi Ignazio, Biagio ed Erasmo (2) di Bottega di David Ghirlandaio che fu trasferita successivamente sull'altare della Cappella Grazzi — dove è tuttora — e sostituita, agli inizi del XVII secolo, con la Natività di Maria di Alessandro Allori (firmata e datata 1602) che ancor oggi è in situ; e le fanno corona scene della vita del Beato Manette dipinte rispettivamente da Jacopo Ligozzi, Cristofano Allori, Alessandro Allori e Domenico Passignano che le eseguirono e firmarono sempre nel 1602. Fu il senatore Donato dell'Antella (3) a volere tutto questo nel programma dei lavori con i quali egli «prese ad abbellire splendidamente la cappella con varietà e preziosità dei marmi e pietre dure e lapislazzuli (4) a opera dello scultore Bartolomeo Rossi.
La volta fu affrescata da Bernardino Poccetti «che vi rappresentò il Paradiso che in forma di colomba ne sta al centro; da basso, oltre i Profeti che adombrarono la nascita della Vergine, sono Adamo ed Eva, che sembrano decumbenti su l'attico o frontone dell'altare; e tra loro corrisponde il motto: Tu reddis; quasi dicano alla Vergine nata, dipinta nel quadro sottostante: Tu renderai al mondo col «Santo germoglio» la vita che noi gli togliemmo (5).
Al di là di questa citazione, nessun'altra nota è venuta ad aggiungersi sulla lettura iconologica. Il restauro, ora eseguito a cura del cantiere di lavoro dell'Università Internazionale dell'Arte ripulendo l'intera superficie della volta da superfetazioni e sporco che la rendevano poco più che distinguibile, permette un'analisi più attenta dell'intera pagina nella quale si è voluto glorificare la Nascita di Maria servendosi di immagini pittoriche e didascalie scritturistiche che vanno intese, prima di tutto, in senso messianico e cristologico, includendo tuttavia in obliquo un riferimento a Maria, madre del Salvatore (6).
Nella zona più prossima all'altare, con la presenza dei progenitori Adamo ed Eva, si intende descrivere l'avvenimento più noto della divina rivelazione in riferimento alle «origini»: il peccato originale, le conseguenze del peccato (dolore, fatica, egoismo). L'avvenimento è riportato nel libro della Genesi (3,14-15), ma tutti gli esperti in sacra scrittura concordano nel definire la pericope della Genesi più una pagina di teologia che una pagina di storia. Non è possibile staccare l'avvenimento, poiché il fatto è legato alle parole e le parole chiarificano il progetto di Dio «che apre le ostilità e annuncia la vittoria». Il testo, infatti, è chiamato protoevangelio: «io porrò inimicizia tra tè (serpente) e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». Se il resto è un annuncio messianico, non è difficile individuare, in contrapposizione a Eva (punto di partenza), anche la Madre del promesso Salvatore.
Oltre ai progenitori che raffigurano l'umanità e ai profeti, finalizzati ad illustrare «il Figlio di Dio che si farà uomo» e, in parallelo, «Colei che ne sarà la Madre», ci sono, in tutto il contesto pittorico, altri segni chiaramente interpretabili in prospettiva teologica: le fiammelle che scendono dal cielo e la colomba collocata in alto. Il fuoco e la fiamma sono segni della presenza di Dio: Esodo 3,2 – Matteo 3,11 - Atti 2,33. Anche la colomba è segno della presenza di Dio: Luca 3,22 - Matteo 3,16 - Giovanni 1,32. Sono segni che, nello specifico della rivelazione cristiana, designano la presenza dello Spirito Santo, poiché «Dio è spirito» (Gv 4,24). Nella rivelazione, infatti, lo spirito è un nome comune (ebr. ruah, gr. pnèuma, lat. spiritus), ma che designa la misteriosa presenza di Dio. Spirito, uguale al Padre e al Figlio. Spirito con la sua propria personalità, distinta ma non separata dal Padre e dal Figlio e che, con essi, si rivela in Cristo Gesù.
Ma le fiammelle e la colomba, assieme agli altri elementi figurativi (quali la decorazione con grappoli d'uva) ci spingono anche a leggere il dipinto in un triplice ordine: l'ordo creationis, l’ordo incarnationis e l’ordo salutis in Ecclesia. Adamo ed Eva ci dicono l’ordo creationis ma è il soffio dello Spirito che da il respiro all'universo (Gen 1) ed è lo Spirito che fa dell'uomo inerte un'anima vivente (Gen 2,7); Maria ci dice l’ordo incarnationis, ma è il soffio dello Spirito che feconda il suo ventre verginale e fa di Gesù il Figlio di Dio incarnato (Le 1,35); la chiesa ci dice l’ordo salutis che in essa continua, poiché Cristo risorto ha fatto dono del suo Spirito «come tante fiammelle nel giorno della Pentecoste» (At 2,33). La salvezza dell'uomo è inscindibile dalla presenza costante dello Spirito Santo, protagonista della e nella Chiesa di Dio.
Non è difficile così vedere la presenza di Maria nei legami con lo Spirito Santo dalla creazione alla Pentecoste, tempo in cui Maria è esplicitamente presente (At 1,14).
Anche le didascalie, figurate con simboli riferibili ai patriarchi e ai profeti, hanno un chiaro intendimento messianico e salvifico. Alcune di queste, non sono di facile accezione, come ad esempio: «un cuore in così grande cuore», salvo che non si voglia dire dell'amore di Maria che partecipa all'infinita misericordia di Dio, cooperando alla Redenzione (Cfr. Le 2,19-2,34-2,51).
Legata alla salvezza messianica, invece è la profezia di Isaia 11,1: «un germoglio spunterà dal tronco di Jesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici». Citata anche da Paolo ai Romani 15,12, e da Giovanni nel libro dell'Apocalisse 22,16.
La frase della terza didascalia (quis enarrabit) è riferimento a Gesù Cristo e al suo vangelo: «la sua posterità chi mai potrà descriverla?» (Cfr. Is 53,7-8; Le 18,31; Atti 8,33).
La didascalia «utraque unum» (anche se espressa in forma incompleta) è tratta dalla lettera di Paolo agli Efesini laddove rivela la riconciliazione operata dal «sangue di Cristo... creando in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo... e per mezzo della croce distruggendo in se stesso l'inimicizia, abbattendo il muro di separazione che era tramezzo, cioè l'inimicizia... infatti Cristo è la nostra pace» (Ef 2,14-18).
Ma rimane valida, a nostro avviso, una lettura dell'affresco anche in chiave mariologica soprattutto per aver posto nella centralità la figura di Eva. Una lettura sul cammino storico del parallelismo Eva-Maria. Se è per mezzo della Vergine Maria che il Verbo si è fatto uomo, è anche giusto — direbbe San Giustino (165) nel Dialogo con Trifone — che passando alla disobbedienza da una donna vergine (Eva) si trovasse la soluzione in un'altra donna vergine (Maria) che concepisse nell'obbedienza, nella fede e nella gioia. Eva, ancora vergine, si fece disobbediente e divenne per sé e per tutto il genere umano causa di morte (peccato originale); Maria, sempre intatta, vergine obbediente, divenne per sé e per tutto il genere umano cooperatrice all'atto salvifico ed esclusivo di Cristo Redentore.
Ed è parallelismo di stretto rigore teologico che continua del resto anche nella collocazione delle feste liturgiche di Maria nella scansione del tempo biologico: Maria, concepita senza macchia di peccato originale (1'8 dicembre) e la nascita di Maria (1'8 settembre); la Santissima Annunziata (il 25 marzo, giorno dell'immacolato concepimento del Verbo fatto uomo) e il giorno in cui Maria partorì il Figlio suo primogenito (25 dicembre).

ORNELLA CASAZZA


(1) Cfr. storia e bibliografia generale in W. und E. PAATZ, Die Kirchen von Florenz, I, 1940, p. 107 e relative note.
(2) Per la storia della Cappella Grazzi cfr. ancora W. und E. PAATZ, Die Kirchen von Florenz, I, 1940, p. 169 e relative note, ma anche O. CASAZZA in «Critica d'Arte», LUI, 1988, n. 18, p. 72 e segg.
(3) Sotto la mensa dell'altare ne è trascritto il ricordo in una lapide che dice: AMERIOVS ANTELLENSIS IOANNIS PIUVS EREXIT AN MCCCLX LVDOVICVS GONZAGA MARCHIO MANTVAE ANNVENTIBVS DOM. TRANSTVLIT AN. MCCCCLXXV. DONATVS BARTHOL. FILIVS AVX1T ORNAVIT DOTEM DIX1T SIBI ET CONSANGV1NEIS SVIS AN. MDC.
(4) D. MORENI, Descrizione della chiesa della SS. Annunziata di Firenze, Firenze, 1791, p. 40; P. TONINI, Il santuario della SS. Annunziata di Firenze, Firenze, 1876, p. 155.
(5) P. TONINI, ibidem, p. 157.
(6) Ringrazio il Dr. Padre Ferdinando Batazzi per il prezioso supporto teologico e mariologico.