Affreschi
Il restauro dell'affresco La Madonna della Cintola nella chiesa di San Felice in piazza a Firenze
di Ornella Casazza
Si documenta qui un importante intervento di restauro compiuto nell'anno 1998-99 dall'Università Internazionale dell'Arte di Firenze nella chiesa di San Felice in Piazza a Firenze e con il nullaosta della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici e della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici, su un affresco con La Vergine Assunta tra Angeli e Apostoli che concede la sacra cintola a San Tommaso, opera di Bicci di Lorenzo e Stefano d'Antonio di Vanni.
Bicci di Lorenzo e Stefano d'Antonio Vanni: LA VERGINE ASSUNTA TRA ANGELI E APOSTOLI CONCEDE LA SACRA CINTOLA A SAN TOMMASO (1430 c.)
La prima indagine ricognitiva dell'opera sollevò una così variata serie di problematiche riguardanti i precedenti restauri, le strutture murarie, la natura dei materiali impiegati nella realizzazione dell'opera e la natura dei sali che avevano aggredito l'affresco per cui, ricevuto mandato dalla Soprintendenza, ritenni di formare in accordo con le colleghe Rosanna Caterina Proto Pisani e Litta Medri, funzionari responsabili della chiesa, un team formato dai restauratori Guido Botticelli e Alberto Felici, dalla Dott.ssa Anita Valentini, la quale ha svolto lo studio storico, e dagli esperti scientifici Dott. Luigi Dei, Dott. Marcella Mauro e dalla Dott.ssa Catia Baccarini, capace di operare in una collaborazione interdisciplinare che confrontasse i risultati scientifici, documenti di archivio e le tecniche di restauro, organizzando il tutto in un insieme di informazioni il più possibile completo che permettesse di chiarire i problemi in esame e di procedere pertanto con oggettiva correttezza in tutte le operazioni necessarie.
L'intervento è stato eseguito con la partecipazione diretta degli allievi del secondo anno del Seminano operativo in Conservazione e Restauro Opere d'Arte dell'U.I.A. Un ringraziamento particolare all'arch. Monica Pedone e a Don Gianfranco Rolfi, parroco di San Felice in Piazza.
Summary
The article documents an important intervention of restoration un a fresco representing Our Lady of the Assumption among Angels and Apostles Bestowing the Holy Girdle on Saint Thomas, painted by Bicci di Lorenzo and Stefano d'Antonio di Vanni. The first examination oft he work brought to light a series of problems relating to earlier restorations, to the structure of the wall and to the nature of the materials used in the realization of the work as well as of the salts that had attacked the fresco.
An interdisciplinary team of specialists was set up to collaborate on the work, comparing scientific results, archive documents and techniques of restoration and organizing the whole into as complete a set of information as possible. This could then be used to clarify the problems in question and proceed with all the necessary operations in an objective and correct way.
Il lavoro è stato pubblicato su:
CRITICA D'ARTE
Rivista trimestrale dell'Università Internazionale dell'Arte di Firenze
n.4, 8a serie, anno LXII
Casa Editrice Le Lettere
Le foto sono di Antonio Quattrone
Storiografia e vicende restaurative
di Anita Valentini
Nel luglio del 1897 Guido Carocci, all'epoca Ispettore dell'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti della Toscana, durante i lavori di restauro che andava compiendo all'interno della Chiesa di San Felice gravemente danneggiata da un terremoto che aveva colpito due anni prima Firenze rinvenne un affresco dietro il settimo altare destro, eretto nel 1735 su commissione della Congregazione dei Benefattori del Santissimo Rosario.
Bicci di Lorenzo e Stefano d'Antonio Vanni: LA VERGINE ASSUNTA TRA ANGELI E APOSTOLI CONCEDE LA SACRA CINTOLA A SAN TOMMASO (1430 c.)
Dopo aver protetto la pittura con una tenda per evitare che potesse ricevere danni ulteriori, il 20 luglio l'ispettore informò prontamente il Ministero della Pubblica Istruzione della scoperta avvenuta mentre riadattava "l'ultimo altare della parete destra entrando in chiesa", chiedendo l'autorizzazione a procedere al recupero di quanto ancora si trovava sotto vari strati di bianco.
La richiesta fu accettata e l'affresco con la Vergine Assunta tra gli Angeli e gli Apostoli che concede la sacra cintola a san Tommaso riapparve per opera di Dario Chini (lo zio del più celebre Galileo), il quale, in veste di "riparatore" al servizio dell'Ufficio Regionale, era in quel momento attivo al cantiere della Chiesa di San Felice.
Non venne accolta invece, dal Ministro Galimberti, la richiesta, inoltrata sempre dal Carocci, di poter procedere a un distacco dell'affresco e alla sua collocazione in qualche altro punto della chiesa per far accrescere, in tal modo, l'importanza dell'edificio, già ricco di opere d'arte'. Il superiore Ministero non cambiò idea neppure dopoché il Carocci ribadì la stessa proposta nelle pagine della sua rivista 'Arte e Storia', in cui a più riprese si era fatto assertore e sostenitore di quella metodologia dello strappo per il recupero e per una migliore fruizione degli affreschi ampiamente applicata proprio da Dario Chini, in quegli anni al culmine della sua fama e considerato, per la sua scaltrezza tecnica, tra i più sicuri operatori. L'anno 1897 non segnò, pertanto, la moderna epifania del dipinto, poiché gli venne addossato nuovamente l'altare settecentesco. Una decisione presa non solo per non turbare l'armonia dell'aula ecclesiale ma anche, probabilmente, per la mancanza dei necessari finanziamenti e, forse, in considerazione del fatto che l'affresco si presentava in parte mutilo. Lo stesso Carocci denunciò lo stato dell'opera alla fine del secolo scorso quando scrisse: "Se si eccettua la mancanza di un tratto centrale prodotto dall'apertura di una buca, l'affresco è in generale in discreta condizione". Un'affermazione che oggi trova una sua chiara esplicitazione grazie all'odierno intervento restaurativo. L'incompletezza della pittura, infatti, era stata finora motivata con la messa in opera dell'altare barocco, la cui erezione, in verità, ben poco danno aveva arrecato al nostro dipinto.
Diversamente, le scarse memorie custodite in alcune antiche carte, insieme a quanto è possibile esaminare in situ, permettono di ripercorre correttamente le passate vicende.
Nel 1700, il Priore di San Felice, nel far ricostruire la porta del fianco della chiesa così come oggi si vede, fece spostare la stessa porta dal luogo dove Stefano Rosselli, nel suo "Sepoltuario" del 1654, l'aveva descritta: fra il sesto e il settimo altare della parete destra. Se la testimonianza seicentesca da l'ubicazione della uscita laterale ante 1700 fra i due altari non bisogna dimenticare che all'epoca il settimo altare in forme barocche era ancora a venire e che al suo posto doveva essere! una mensa di ben più ridotte dimensioni; questo spiega come, nel rintracciarla, l'apertura sia affiorata non fra i suddetti altari bensì "all'interno di un altare", il nostro.
Del vecchio accesso laterale, difatti, si ha un riscontro visibile nelle tracce di un passaggio murato nella facciata laterale esterna della chiesa che, come è apparso dalle misurazioni e tramite lo schema dei rilievi architettonici realizzati durante l'attuale restauro, all'interno corrisponde perfettamente con la mancanza del muro lamentata dall'Ispettore Carocci, la cui tamponatura è ancora avvertibile nella parete. La "buca" descritta dal Carocci, pertanto, altro non era che la tamponatura della più antica apertura della Chiesa di San Felice.
Quanto accaduto all'alba del XVIII secolo induce a dedurre che i passati reggitori del Monastero, noncuranti dell'affresco, presumibilmente fra XVI e XVII secolo, tagliarono la profondità della nicchia - come si può distinguere da quanto rimane delle figure dipinte nell'intradosso - e aprirono, su di una parete coperta a scialbo, un accesso laterale, la cui costruzione distrusse, in parte, la porzione inferiore della struttura muraria su cui si estendeva il dipinto della Madonna della Cintola.
In seguito, come sappiamo, la nuova porta del fianco provocò la chiusura della precedente apertura e diede la possibilità nel 1735 di erigere un settimo altare di considerevoli dimensioni. Le vicende che nel corso dei secoli hanno visto protagonista l'antico dipinto murale spiegano, pertanto, come mai fosse sfuggito in passato all'interesse di eruditi quali, primo fra tutti, il Richa.
Il desiderio di Guido Carocci di far rivivere l'affresco venne realizzato circa trent'anni dopo, quando, a causa di un incendio scoppiato nella notte fra il 22 e il 23 gennaio del 1926, fu necessaria una ristrutturazione complessiva della chiesa che ebbe compimento solo nel 1935. Nel quadro dei lavori improntati a un revival neomedievale, che comportarono per le cappelle del transetto la demolizione degli altari cinque-settecenteschi, anche la nostra cappella fu oggetto di interesse: rimuovendo l'altare del XVIII secolo, venne trasformata nello stato attuale per rendere finalmente leggibile e scoperto l'affresco.
Sempre nel corso dell'intervento restaurativo venne riaperta la monofora gotica soprastante la cappella.
LA VERGINE ASSUNTA (particolare)
Un frammento di affresco, allora rinvenuto sopra la lunetta dell'altare nelle vicinanze della monofora, seppure poco esteso, fa supporre una più ampia stratificazione decorativa che ab origine doveva esistere anche fuori della nicchia affrescata dell'altare. Per essa è stato possibile ipotizzare la presenza di una estesa redazione ad affresco che andava a occupare la parete intorno all'altare, sviluppandosi in verticale e offrendo episodi tratti dalla Vita della Vergine. L'altare risulta inquadrato da una cornice architettonica dipinta che si doveva estendere nelle spalle e nell'estradosso, come sembrano testimoniare le tracce di un capitello dipinto nello spessore del muro a destra, alla base della centina, dove, tuttavia, si intervenne in sede di restauro. Infatti, nell'occasione della ricomparsa dell'affresco, Amedeo Benini, noto decoratore ma anche restauratore più volte impegnato in importanti cicli pittorici, nel 1930 operò un vero e proprio ripristino "in stile'. Secondo quanto i documenti hanno tramandato e l'attuale restauro ha evidenziato l'intervento del Benini sull'originaria stesura pittorica consistette in una leggera pulitura una fermatura del colore ("abbassando tutte quelle parti che il colore si era perso"), nel rifacimento delle parti in oro ("a oro buono") e nella tamponatura di alcune crepe con calce e stucco. La sua attività si focalizzò principalmente su ben altro. Al Benini si devono infatti gli ampi e radicali rifacimenti in corrispondenza della oramai nota apertura descritta dal Carocci, che, una volta tamponata, offriva una estesa area su cui intervenire nel ripristino.
Il Benini dipinse a fresco e a tempera, lavorando con tecniche e forme tipicamente "integrative", secondo un concetto assai diffuso in quel tempo: la figura del Santo a destra e gran parte della formella centrale con specchiatura incorniciata da motivi architettonico-decorativi sono opera sua. E sempre a lui si deve l'integrazione di due più limitate zone che, quasi speculari, inquadrano esternamente i due gruppi figurativi degli Apostoli.
L'affresco venne così restituito alla devozione dei fedeli e al pubblico godimento dopoché anni prima era già stato dato inizio alla sua storiografia. Nel riproporre l'affresco alla critica, il Carocci lo aveva ricondotto, genericamente, alla maniera di Agnolo Gaddi, sebbene sia abbastanza distante dal raffinato stile gaddesco. Il dipinto, invero, evidenzia solo una lontana eco di quell'elegante linguaggio gotico-fiorito, d'altronde riscontrabile, quale segno di una cultura eclettica, presso numerose officine pittoriche fiorentine del XV secolo, in parallelo e unitamente al nuovo dettato rinascimentale. Ed era proprio all'interno di una di queste botteghe del Quattrocento fiorentino che, come vedremo, prese avvio l'idea compositiva del nostro dipinto.
Intanto, sulla scia del Carocci e fino alla fine degli anni Settanta del Novecento, la storiografia critica ha menzionato l'affresco sotto l'etichetta generica di opera fiorentina dell'ultimo Trecento, anche dopo che i Paatz avevano ravvisato, per primi, un suo inserimento nel gruppo delle opere della scuola di Bicci di Lorenzo, fissandone, giustamente, l'esecuzione nella prima metà del XV secolo"; Caterina Zappia, ribadendone l'attribuzione alla compagnia artistica di Bicci, lo ha datato fra il XIV ed il XV secolo, leggendovi "delle particolarità stilistiche della pittura fiorentina del tardo trecento" a cui si unirono delle ridipinture posteriori.
Più di recente Lucia Meoni, assegnando l'affresco a Bicci di Lorenzo, ha accennato a una sua possibile collaborazione, per il raffinato goticismo di alcune figure, con uno dei più importanti allievi di Lorenzo Monaco, Rossello di Jacopo Franchi, con il quale il Bicci lavorò negli affreschi della Cattedrale di Santa Maria del Fiore.
Si deve a Cecilia Frosinini il collegamento dell'opera con l'attività di un artista formatosi al fianco di Bicci, Stefano d'Antonio di Vanni. Iscrivendo l'opera nel catalogo del pittore, ha insistito sull'attendibilità di collocarla verso il 1430, quando Stefano era una figura attiva della "compagnia' di Bicci di Lorenzo, sulla base di alcune rispondenze stilistiche che l'apparentano alle predelle con scene dell'Infanzia della Vergine, allocate oggi alla Walters Art Gallery di Baltimora e attribuite unanimemente dalla critica a Stefano d'Antonio.
I SANTI INTORNO ALLA VERGINE (particolare)
Tuttavia la stessa Frosinini nel legare il dipinto murale al nome di Stefano d'Antonio, ha trovato inconsueti, per lo stile del pittore, alcuni sinuosi e gonfi andamenti, talune cadenze e un "maggiore turgore", che ha giustificato in presenza di una opera di dimensioni maggiori rispetto alle tavolette da lei portate a confronto; la studiosa ha inoltre ricordato come Anna Padoa Rizzo abbia scorto gli stessi caratteri dell'affresco di San Felice nei frammentar! cicli di affreschi della cripta del Convento domenicano dei Santi Jacopo e Lucia a San Miniato (1433) e in quelli di Sant'Onofrio di Fuligno a Firenze (1431-1434; le sinopie si devono a Bicci di Lorenzo)". La presenza di Stefano d'Antonio nell'opera di San Felice può essere senz'altro convincente, come ha proposto la Meoni intervenendo ancora sull'argomento e accettando la datazione al 1430, se gli si assegna il ruolo di prezioso collaboratore del più anziano Bicci di Lorenzo, con cui rimase fino al 1434.
Stefano d'Antonio infatti, rispetto al ductus generale del nostro affresco, si esprime in modo più secco e meno dilatato nel panneggiare le vesti ed è solito condurre con minor raffinatezza i particolari decorativi. A Stefano, proprio in base a tali caratteristiche a cui dobbiamo aggiungere una ripetitività nel siglare i lavori con dei tipi fisionomici dai profili protesi, di scorcio e definiti da forti lumeggiature, forse spetterebbe - come ha suggerito la Meoni - la paternità del primo Apostolo del gruppo a sinistra dell'Assunte, che ha un preciso riscontro nella testa dell'Angelo Annunciante, nel frammento d'affresco sopra la lunetta. L'impianto compositivo del dipinto appare invece ideato dallo stesso Bicci, maestro e capo bottega, prolifico e stimato artista, espressione, in piena Rinascenza, della cultura gotico fiorita, che seppe tradurre con grazia, sposandola, con esiti più o meno fortunati, a quanto le novità del codice rinascimentale imponevano.
Nella nostra opera, infatti, l'impronta quattrocentesca è suggerita da Bicci di Lorenzo quando cerca di accordare l'elemento arcaizzante della mandorla col tentativo di risolvere la scena in senso prospettico, attraverso la figurazione del sepolcro.
Il tema della Madonna della Cintola era caro a Bicci che lo propose nello stesso periodo nella parte centrale di un trittico per la Chiesa di Santa Maria a Castagnolo di Lastra a Signa ed era del resto una iconografìa già affrontata nella bottega paterna, come testimonia la tavola per la chiesa di Santo Stefano a Empoli oggi nel Museo della Collegiata.
Al di là del breve excursus storico-critico va ricordato che, dopo le modifiche causate dal rimaneggiamento della chiesa, a distanza di poco meno di cin-quant'anni, nel 1976 l'affresco ha dovuto sostenere un intervento che si limitò a ridare coesione ad alcuni pericolosi sollevamenti presentatisi sulla sua superficie. Tuttavia, con il passare del tempo, la semplice manutenzione si è rivelata insufficiente; prima dell'attuale restauro sia l'opera originale che l'integrazione del Benini presentavano lesioni e imbianchimenti, sollevamenti ed esfoliazioni che rendevano sempre più incoerente lo strato pittorico con il suo intonaco, che appariva fratturato in più parti. La frattura più profonda interessava all'incirca la metà inferiore della superficie dipinta, partendo dall'Angelo alla sinistra della Madonna Assunta e dirigendosi con andamento diagonale fino in basso a sinistra, quasi a segnare il confine superiore dell'area muraria mancante fino al restauro del Benini. Altre crepe erano leggibili alla destra della figura della Madonna, lungo la sua veste, al centro del sepolcro e alla base del gruppo di Apostoli affrescati a destra.
E ulteriori situazioni di degrado si presentavano a una lettura ravvicinata della superfìcie, che mostrava accentuati fenomeni di sollevamento e di perdite, al punto che si rese necessario approfondire le ricerche facendo interagire le analisi chimico fisiche con altre tecniche sia di tipo spettroscopico che di tipo cromatografico.
Ne è venuta fuori una lettura che ha messo in evidenza gli aspetti originar! e quanto dovuto alle vicende restaurative storicamente conosciute.
Il generale oscuramento che mostrava l'affresco era causato non solo dall'ammorbidimento, per l'iniziale stadio di solfatazione, dell'intonaco e del film pittorico che aveva permesso il fissaggio del pulviscolo e delle particelle carboniose presenti nell'aria, ma anche dal degrado ossidati vo di materiale organico.
L'affresco risultava infatti appesantito per la presenza in quantità elevata di ossalati prodotti non da un legante originario dei pigmenti bensì dalle alterazioni di un protettivo steso sulla superficie per il suo consolidamento e nutrimento; dalle alterazioni, quindi, del cosiddetto 'beverone' a base di sostanze organiche di tipo proteico rivelatesi facenti parte della famiglia delle colle animali (alta quantità di idrossiprolina). Un protettivo certo applicato sulla superficie durante i restauri dell'inizio del Novecento per vivificare e consolidare il colore - come insegnavano i manuali dell'epoca - dopo una pulitura sicuramente difficoltosa.
IL SAN GIOVANNI BATTISTA (figura in basso a sinistra dell'affresco) prima e dopo l'intervento di restauro
A luce radente si è potuto individuare la progressione delle 'giornate' di lavoro; dall'alto verso il basso ne sono state individuate nove di grandezza diversa a seconda delle complessità dell'esecuzione pittorica: di dimensioni ridotte per compiere il volto della Madonna e i volti di alcuni Apostoli, più ampie per definire le vesti. Le 'giornate' sono per lo più unite in coincidenza delle linee di contorno dei manti delle figure.
Il dipinto fu eseguito abbastanza velocemente ed è possibile supporre, come la critica in passato ha ipotizzato, che Bicci di Lorenzo si sia giovato di collaboratori. Lo denoterebbero i volti degli Apostoli, così come quelli degli Angeli, molto simili fra di loro e molto stereotipati su un unico modello prestabilito, realizzati con pennellate svelte e a discapito di una loro resa espressiva e distinta.
Bicci traspose sulla sinopia, di cui sono apparse tracce, un intonaco piuttosto 'spento', costituito da calce e sabbia, adottando nella stesura dei pigmenti una tecnica mista: sono stati dipinti a fresco gli incarnati e i panneggi, mentre le finiture sono state date a secco per poter raggiungere rapidamente l'effetto cromatico desiderato.
Il colore della malta preparatoria è stato utilizzato con accorgimento 'a risparmio' in alcune zone, soprattutto per il sepolcro, rialzando con piccoli tocchi di bianco di calce solo in prossimità dei contorni essenziali.
Ed ancora, l'artista si è servito della battitura delle corde per segnare l'architettura del sepolcro e per mettere in asse la figura di San Giovanni Battista. Incisioni dirette sono presenti lungo la cornice architettonica dell'arco che inquadra la composizione pittorica, definendone il campo, e nel bordo della doratura delle aureole dei personaggi raffigurati; queste ultime furono realizzate - come era prassi - al fine di impedire le possibili colature della doratura.
Le dorature, a missione oleosa, visibili sulle aureole eseguite a rilievo e nelle decorazioni dei manti, risalgono, come sappiamo, all'operato di Amedeo Benini, il quale intervenne anche con dei bottoni in cera dorata per decorare il manto dell'Assunta.
Quanto si riferisce all'intervento di 'rifacimento' del Benini è stato conservato poiché considerato presenza storica ormai inscindibile dall'aspetto assunto nel corso del tempo dalla cappella, a eccezione però delle sue stuccature, che poco rispettose del dipinto originale lo avevano in parte invaso, arrivando, come ha evidenziato l'attuale restauro, a montare sopra l'antica pittura anche per qualche centimetro, soprattutto nell'intradosso della lunetta. Si è pertanto proceduto al taglio delle stuccature del Benini, lasciando solo un leggero dislivello per il loro riconoscimento.
Indagini diagnostiche sui materiali impiegati e sullo stato di conservazione
di Catia Baccarini Camici
I quesiti che si erano venuti manifestando durante la prima ricognizione dell'opera richiedevano una comprensione più dettagliata della quantità dei vari tipi di sali di origine organica e non organica che concorrevano all'attacco che l'affresco subiva e in particolare a una ampia ricerca volta a determinare quanto le regioni campite in azzurrite, più propriamente la volta celeste dietro la mandorla della Madonna, fossero alterate dalla presenza di sali di origine non organica e quanto invece di tale oscuramento fosse responsabile il degrado ossidativo di materiale organico presente sull'affresco in forma di legante o in forma di protettivo. Per fornire più elementi possibili che contribuissero a formare un quadro clinico generale delle condizioni dell'affresco era pertanto necessario conoscere la natura dei materiali impiegati e dei prodotti di degrado organici e non presenti sull'opera.
Al fine di fornire una risposta a tutto ciò, il restauratore Guido Botticelli ha proceduto a un campionamento dell'affresco stesso che ha interessato in particolare i due punti riportati nel rilievo 1 (realizzato a cura degli allievi dell'U.I.A.) del paragrafo successivo.
Più dettagliatamente il primo campione di intonaco e colore è stato raccolto dal bordo superiore del sarcofago posto sotto i piedi della Madonna, come illustra il grafico. L'indagine condotta su tale campione si proponeva di determinare in particolare la natura dei sali che avevano aggredito la regione da cui esso proveniva, nonché il tipo di pigmento utilizzato per realizzare il film pittorico. Il secondo campione proviene dalla volta celeste campita in azzurro sotto la mandorla della Madonna. Oltre alla natura dei sali presenti nella regione in esame in questo caso ci si interrogava anche sul tipo di protettivo usato e sul suo stato di degrado. I campioni di intonaco e colore prelevati dalle regioni appena descritte avevano dimensioni inferiori al millimetro ed erano in una quantità dell'ordine delle decine di microgrammi. I criteri che hanno guidato la scelta delle zone da campionare si possono riassumere essenzialmente in due tipi di proprietà di cui esse dovevano godere. Da un lato tali zone si dovevano proporre come particolarmente appropriate per le indagini necessarie a una comprensione delle problematiche sorte durante lo studio che preparava il restauro, in quanto rappresentative delle sintomatologie che ricorrevano su tutto l'affresco. D'altro canto la particolare adeguatezza di tali zone era corroborata dal fatto che le località prescelte presentavano già sollevamenti e abrasioni dovuti ai complessi accidenti, l'opera era stata protagonista. Tale caratteristica escludeva la possibilità che l'affresco subisse delle asportazioni che poi risultassero traumatiche agli occhi degli osservatori che ne dovevano fruire, se prodotte nelle zone in cui i materiali pittorici si presentavano più compatti e in buone condizioni.
Spettro EDAX del Campione 1
Per identificare la natura dei pigmenti utilizzati per la realizzazione delle regioni di colore da cui erano stati prelevati i due campioni ci si è avvalsi di una routine di analisi diagnostiche ormai ampiamente impiegata in questo particolare genere di ricerca: l'indagine microscopica elettronica a scansione associata alla microanalisi spettroscopica realizzata con la sonda elettronica EDAX che sfrutta l'emissione di raggi X caratteristici da parte degli elementi presenti nel campione in esame indotta da elettroni che bombardano il campione stesso. Più dettagliatamente da un lato il microscopio elettronico a scansione (usualmente indicato dall'acronimo SEM) permette di osservare la superficie di oggetti solidi senza dover ricorrere a complicate procedure di preparazione del campione, con grande risoluzione nei dettagli e grande profondità di fuoco, consentendo così sia uno studio approfondito della qualità della matrice carbonatica, sia una valutazione della granulometria del pigmento macinato imprigionato nei cristalli stessi di carbonato di calcio dell'intonaco. D'altro canto la microsonda elettronica EDAX è in grado di identificare univocamente gli elementi emettitori di raggi X presenti nei materiali in esame e di così fornire un'analisi topica e qualitativa e quantitativa del punto del campione colpito dal fascio di elettroni. Le moderne microsonde sono in grado di rivelare la presenza di tutti gli elementi aventi peso atomico superiore a 1 (Na), da qui il loro frequente impiego in tutte le indagini che mirano ad identificare la composizione dei pigmenti minerali utilizzati per realizzare i colori.
Spettro EDAX del Campione 2
L'analisi in questione è stata realizzata sull'apparecchiatura messa a disposizione dal Dott. Mario Paolieri del Centro Interdipartimentale di Microscopia Elettronica e Microanalisi dell'Università degli Studi di Firenze, costituita da un microscopio a scansione PHILIPS-515 e una microsonda EDAX con spettrometro a dispersione di energia.
La microanalisi per determinare quale tipo di pigmenti minerali fossero stati usati per realizzare il sarcofago e la volta celeste è stata eseguita utilizzando per ambedue i campioni in esame solo una prima frazione della quantità totale di colore e di intonaco prelevati dalle regioni di interesse dell'affresco. Gli spettri EDAX risultati della microanalisi per il campione proveniente dal sarcofago e per quello proveniente dalla volta celeste sono riportati rispettivamente nelle Figure 1 e 2. Nel primo campione citato le analisi sperimentali hanno evidenziato la presenza di elementi quali il silicio e il calcio con tracce di alluminio, ferro e rame. Da tali risultati si deduce che l'artista ha usato per realizzare il pigmento bianco del film pittorico di tale campione il cosiddetto bianco di San Giovanni (carbonato di calcio). Nel secondo campione si nota la presenza di elementi quali rame con tracce di ferro e calcio. Il pigmento verde-azzurro del colore del campione prelevato dalla volta celeste risulta essere dunque malachite di degrado da azzurrite.
Per determinare quali sali avessero attaccato l'affresco abbiamo eseguito su entrambi i campioni un'analisi spettroscopica nell'infrarosso in trasformata di Fourier. La scelta di eseguire l'analisi su ambedue i campioni è stata adottata onde riuscire a delineare un panorama completo e il più rappresentativo possibile degli attacchi originati da processi di degrado sia di tipo chimico che di tipo biologico alle superfìci del paramento murario che erano interessate dall'intervento di restauro.
La spettroscopia nell'infrarosso in trasformata di Fourier è oggi ampiamente impiegata nella diagnostica dell'opera d'arte, in particolare quando si vogliano informazioni dettagliate riguardanti la natura chimica vuoi dei sali presenti nella matrice muraria, che in associazione con l'umidità atmosferica e interna al muro producono efflorescenze vistose che rendono spesso illeggibile l'opera, portando eventualmente ad un complessivo decoesionamento della struttura, vuoi delle vernici, dei leganti, e dei pigmenti utilizzati dall'artista, vuoi delle sostanze impiegate negli interventi di restauro e conservazione eseguiti successivamente.
Il metodo della spettroscopia in assorbimento consiste nelle sue componenti sostanziali nel fare attraversare il campione in esame da una radiazione elettromagnetica nell'infrarosso e quindi nel misurare l'intensità della radiazione trasmessa dal materiale in funzione della frequenza. Lo spettro così ottenuto è caratteristico delle particolari molecole contenute nel campione sottoposto all'analisi e rappresenta una sorta di carta di identità che permette di risalire alla natura del sale che ha aggredito l'affresco.
Spettrometria IR in trasformata di Fourier
Le analisi sono state eseguite presso il Dipartimento di Chimica dell'Università degli Studi di Firenze sotto la supervisione del Dott. Luigi Dei che ci ha gentilmente messo a disposizione lo spettrometro IR in trasformata di Fourier BioRad FTS-40 del CNR ospitato nella divisione di Chimica-Fisica. Sono stati eseguiti due spettri, ognuno ricavato da una seconda frazione di colore e di intonaco selezionata dalla totalità di ciascuno dei due campioni prelevati.
Dallo spettro del campione proveniente dal sarcofago sotto i piedi della Madonna si deduce la presenza di carbonato di calcio, di gesso, nonché nitrati in tracce (picchi individuati nello spettro riportato in Figura 3(a), e anche la presenza di sostanze di origine organica (individuato nella figura dalla didascalia "materiale organico"). L'analisi del campione in questione permette di evidenziare pertanto nella regione dell'affresco da cui esso proviene un elevato grado di solfatazione unito ad una presenza effettiva anche se non dominante di nitrati.
Nello spettro del campione proveniente dalla campitura azzurra della volta celeste dietro la mandorla della Madonna si riscontra la presenza di carbonato di calcio, di gesso e ancora altri nitrati in tracce e anche tracce di ossalati (picchi individuati nello spettro riportato in Figura 3(b)), classici prodotti finali originati dal degrado dei materiali organici presenti sul paramento murario.
In questo caso l'analisi del campione ha permesso di rilevare sulla regione di campitura azzurra, di cui era elemento rappresentativo il campione stesso, oltre ad una notevole solfatazione e alla presenza di nitrati, anche una piccola quantità di ossalati, derivati presumibilmente da degrado ossidativo di materiale organico la cui natura dovrà essere successivamente chiarita. Per riuscire in tale intento si è deciso di operare all'insegna di una metodologia interattiva tra le varie tipologie di analisi, che permettesse tramite il confronto dei risultati sperimentali una conoscenza effettiva dei materiali usati sull'affresco e del suo stato di conservazione.
Il quesito che si era venuto delineando durante l'evoluzione dell'indagine diagnostica aveva in argomento la natura del materiale organico origine prima dei prodotti di degrado riscontrati sull'affresco. Si trattava di tentare di determinare se ci si trovasse di fronte ad un legante utilizzato dall'artista o impiegato in qualche restauro successivo, o piuttosto ad un protettivo di tipo proteico od oleoso passato sopra il film pittorico. Abbiamo dunque optato per sottoporre il secondo campione ad un'analisi di tipo gas-cromatografico che fosse in grado di separare fin nella loro più intima natura le diverse sostanze presenti nella materia e di riconoscere in maniera univoca i suoi diversi componenti3. La procedura su cui è caduta la scelta è stata quella messa a punto al Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell'Università degli Studi di Pisa dalla Dott.ssa Maria Perla Colombini e dai suoi collaboratori. Tale procedura è in grado di identificare gli aminoacidi e gli acidi grassi che costituiscono nelle loro componenti basilari le sostanze organiche che possono essere presenti sull'affresco, utilizzando una apparecchiatura (detta per brevità gas-massa) che consta di un gascromatografo in grado di separare tali componenti e di uno spettrometro di massa che è quindi capace di risalire alla loro identità e quantità dal peso molecolare che lo strumento misura.
La ricerca dei componenti proteici e degli acidi grassi condotta mediante gas-massa sul campione che alla spettrometria nell'infrarosso in trasformata di Fourier denunciava la presenza di ossalati ha permesso di rilevare una grande quantità dell'aminoacido che va sotto il nome di idrossiprolina e che rappresenta il componente principe sia del collagene che della gelatina. Assenti sono peraltro gli aminoacidi metionina e lisina, tipici prodotti del degrado dei leganti. La concomitanza di tali eventi permette di formulare una prima ipotesi sulla natura della sostanza proteica presente nel campione che costituiva l'incognita che ci eravamo prefissati di conoscere: si tratta di un protettivo a base di colla animale steso sulla superficie dell'opera al fine di salvaguardare la pellicola pittorica sottostante, realizzata, come è emerso dai risultati della analisi alla sonda EDAX, in azzurrite, uno dei pigmenti minerali che essendo steso a secco è tra i primi ad essere soggetto ad alterazioni. Un secondo dato sperimentale ottenuto dall'analisi gascromato-grafìca ci permette di avvalorare l'ipotesi enunciata precedentemente. La quantità totale di acidi grassi trovata è molto scarsa, quindi la loro origine non sembra riconducibile ad oli siccativi ma a impurezze grasse contenute nelle colle animali.
A riprova finale della natura protettiva delle sostanze organiche riscontrate si è proceduto, secondo una routine di lavoro classica nello studio di queste sostanze. I dati ottenuti sono stati elaborati col programma MICROCAL ORIGIN secondo il metodo statistico multivariato delle componenti principali (più comune sotto la denominazione PCA) che ha lo scopo di ricollegare la sostanza in esame a "regioni di influenza" associate a tipologie di protettivi più frequentemente usate nell'area del Centro Italia. Un lavoro capillare di analisi preventiva da parte del gruppo coordinato dalla Dott.ssa Colombini di tali tipologie ricostruite dalla sezione del CNR diretta dal Prof. Mauro Matteini a partire dalle ricette classiche riportate in letteratura, ha permesso di realizzare la "mappa' riportata in Figura 4, costituita come è possibile osservare dalle "regioni di influenza' associate univocamente a ciascuna tipologia di protettivo: latte, latte-colla, colla, uovo-colla, uovo). Come si può osservare il nostro protettivo cade nella regione deputata delle colle animali confortando così l'ipotesi avanzata sulla sua natura a partire dal precedente primo risultato.
Concludendo l'esito del confronto comparativo dei risultati delle indagini diagnostiche e di quelle di archivio ci ha permesso di affermare che i prodotti di degrado che alterano l'affresco sono da identificare nelle loro componenti principali nel gesso, originato dalla solfatazione della matrice carbonatica, e nei nitrati che hanno aggredito in quantità importante ma per altro non drammatica l'opera in esame, nonché negli ossalati, derivati dal degrado ossidativo di un protettivo riconducibile ad uno degli interventi di restauro successivi di cui l'affresco è stato protagonista (probabilmente un restauro novecentesco a giudicare dalle ricette coeve dei protettivi riportate in letteratura) steso sull'azzurrite utilizzata per la campitura della volta celeste dietro la mandorla della Madonna per ravvivare e nutrire il colore.
(I rilievi grafici sono stati eseguiti dagli Arch. Piero Rossin e Marco Formigli)
L'opera e gli eventi che hanno influito nella sua conservazione
di Guido Botticelli e Alberto Felici
Rilievo grafico n.1
1. Tecnica esecutiva
L'affresco oggetto dell'intervento, realizzato da Bicci di Lorenzo nel 1440, è situato nella Chiesa di San Felice in Piazza, sulla parete destra della navata all'altezza del settimo altare.
[Rilievo grafico n.1] La pittura, che misura m. 3,50 di altezza per m. 2,70 di larghezza, si presenta racchiusa entro una nicchia centinata, con strombo perpendicolare alla struttura muraria di supporto, ed è suddivisa in due parti da una striscia decorata a motivi geometrici.
Nella parte superiore del dipinto, di altezza maggiore, è raffigurata la Madonna che sorregge la cintola, entro una mandorla di raggi dorati circondata da sei angeli.
Ai lati della Vergine sono raffigurati i dodici apostoli in adorazione. Ai suoi piedi si trova un sarcofago.
Il dipinto risulta realizzato a buon fresco, con interventi di finitura a secco, su un supporto tradizionale formato da due strati di intonaco: il primo, l'arriccio, su cui veniva realizzata la sinopia, steso a contatto con la struttura muraria e composto da una parte di grassello di calce spenta (idrato di calcio) e tre parti di sabbia di fiume lavata, di grana grossa; il secondo, l'intonachino/ base del dipinto, composto da due parti di grassetto e tre di sabbia più fine, eseguito a giornate sull'arriccio, seguendo le tracce della sinopia. La porzione originale dell'affresco è stata dipinta in nove giornate. Le integrazioni degli anni '20 occupano tre zone distinte: due situate in prossimità degli spunti dell'intradosso dell'arco della nicchia, una, molto vasta, che occupa quasi totalmente la parte inferiore dell'opera. Il disegno è stato riportato sull'intonaco pittorico con più mezzi:
- incisione diretta, soprattutto per le aureole;
- battitura della corda, per la messa a piombo della figura del San Giovanni e per il sarcofago.
Il dipinto è stato realizzato con terre e pigmenti minerali, le dorature applicate sulle aureole a rilievo, sono esposte con la tecnica dell'oro a missione.
Sono state inoltre individuate tracce di rifiniture con oro a conchiglia lungo i bordi della veste della Madonna.
I rifacimenti e le ridipinture sono del 1926 quando il restauratore Amedeo Benini reintegrò a imitazione dell'originale le abrasioni e le parti perdute del dipinto.
La parte inferiore dell'affresco, in passato pesantemente danneggiata da interventi sulla struttura muraria di supporto/ di originale conserva soltanto la figura di sinistra, il San Giovanni Battista, mentre la porzione rimanente è il risultato di un rifacimento effettuato negli anni "10 di questo secolo a opera del restauratore Amedeo Benini a cui si devono le integrazioni ad imitazione dell'originale di tutto il dipinto. Nella superfìcie strombata che contorna la nicchia, che per effetto di una risega si allarga all'altezza degli spunti dell'intradosso, restano frammenti di pitture nei quali è ancora possibile leggere figure di Santi.
Rilievo grafico n.2
2. Stato di conservazione
Per quanto riguarda lo stato di conservazione l'opera presentava molteplici problematiche di degrado per la cui comprensione si è rivelata risolutiva l'interazione di analisi chimico fisiche con tecniche sia di tipo spettroscopico che di tipo cromatografico.
[Rilievo grafico n.2] A una rivisione ravvicinata, più accentuati apparivano i fenomeni di sollevamento e di perdita sia nel gruppo degli Apostoli a destra (soprattutto nei volti e nel panneggio verde dell'Apostolo in primo piano), che nei panneggi gialli e verdi degli Apostoli assisi a sinistra e nella figura di San Giovani Battista. Questo tipo di degrado era stato causato dall'umidità di risalita che aveva mosso i sali minerali trasportandoli - per capillarità in veicolo acquoso - in superficie; le analisi hanno rivelato la natura dei sali: prevalentemente solfati, accompagnati da tracce di nitrati.
La solfatazione aveva provocato, oltre ai sollevamenti e alle perdite di parte del film pittorico, anche il viraggio dei colori come nella volta celeste, dove le indagini scientifiche hanno rintracciato la presenza di malachite di degrado dalla azzurrite, dall'"azzurro della Magna" dato a secco sul cosiddetto 'morellone'.
In particolare, per quanto riguarda i pigmenti azzurri, abbiamo visto che essi sono formati da una prima stesura di azzurrite mischiata a bianco di San Giovanni (di colore celeste) e da una seconda stesura di azzurrite coeva alla prima o, quantomeno, precedente all'intervento del Benini, come mettono in evidenza le zone di accordo fra l'antica pittura e l'integrazione del 1926. Il fenomeno alterante più evidente prima dell'intervento era una decisa polverizzazione del film pittorico, causata da alterazioni saline (solfatazioni), dovute a infiltrazioni umide e favorite dalla natura della muratura, realizzata a sacco, con materiali edilizi compositi.
La pellicola pittorica presentava ingiallimenti dovuti al degrado di un composto organico, steso presumibilmente a conclusione del restauro degli anni '20 come ravvivante e protettivo, che ha favorito la presenza di tracce di ossalati.
L'intera superfìcie dell'affresco era inoltre ricoperta da particellato incoerente, polveri e nerofumo, accumulatesi negli anni. Le zone più colpite dal degrado, che presentavano solfatazioni e sollevamenti a scaglie del film pittorico erano:
- il manto, le spalle e il copricapo della Vergine, i volti degli Apostoli alla destra e alcuni dei loro manti, in particolare quelli di colore verde e giallo;
- parte del sarcofago;
- la zona inferiore della figura del Battista. Sull'intonaco originale l'esfoliazione del film pittorico (sollevamento del colore a scaglie) era diffusa dove il colore aveva una stesura di materia particolarmente spessa, mentre la polverizzazione del colore era maggiormente visibile dove il colore era stato steso in strato sottile. Nelle zone che avevano subito un rifacimento erano presenti crateri del film pittorico, con perdite del medesimo a testimonianza che il degrado era ancora in atto.
Dalla zona centrale dell'affresco, risalente verso il margine destro, si notava traccia di un presumibile tentativo di spolveratura della superfìcie pittorica, che aveva apparentemente abbassato la tonalità cromatica. L'azzurro del cielo dipinto a sfondo del gruppo di figure sacre è risultato integrato con azzurrite, il pigmento originariamente utilizzato anche da Bicci di Lorenzo.
Alcune parti della stesura originale di questo pigmento avevano subito il processo di conversione in malachite, ed erano quindi diventate di colore verdastro.
Ubicazione della nicchia dell'altare lungo il muro meridionale della chiesa: rispondenza, all'esterno, con le tracce di un'antica apertura |
La linea rossa mette in rispondenza il perimetro della 'buca' del Carocci all'interno della chiesa con le tracce all'esterno di un'antica apertura |
3. L'intervento operativo
1a fase - Preconsolidamento
Tale operazione è necessaria per garantire l'adesione del colore al supporto pittorico durante le operazioni di pulitura qualora si debba intervenire in presenza di pulvirulenza del film pittorico, come nel caso dell'affresco della Madonna della Cintola.
Per individuare il materiale più adatto sono stati sperimentati sia il Prima! AC33 diluito al 10% in acqua demineralizzata che il caseinato di ammonio al 5%. Si è quindi stabilito di impiegare quest'ultima sostanza, di origine organica, in quanto il Prima! tendeva a formare una pellicola superficiale resistente, difficile da rimuovere completamente in fase di pulitura. Il preconsolidamento è stato quindi effettuato con caseinato di ammonio al 5%, previa vaporizzazione di acqua deionizzata sulla porzione interessata al trattamento.
Nelle porzioni soggette ad esfoliazione, la sostanza è stata distribuita a tergo delle scaglie di colore sollevato tramite siringa o pennello, in modo da favorirne il riadagiamento in sede. Nelle zone caratterizzate da pulvirulenza del colore, quali il manto della Vergine, le vesti verdi o gialle ed alcuni incarnati, il preconsolidamento è stato eseguito applicando a pennello il caseinato di ammonio in soluzione al 5% attraverso un foglio di carta giapponese posta sulla superficie da trattare e già intrisa di acqua deionizzata.
Il foglio di carta giapponese è stato poi rimosso prima della sua completa asciugatura per evitare lo strappo del colore. In seguito è stato applicato un nuovo foglio pulito, sul quale si è tamponato con una spugnetta naturale imbevuta di acqua deionizzata.
2a fase - Pulitura
La pulitura, tranne che nell'intradosso della nicchia e sul manto dell'Apostolo all'estrema sinistra della scena, dove è stata impiegata acqua demineralizzata, è stata effettuata con carbonato di ammonio in soluzione satura applicato con stesura a pennello sulla superficie da trattare attraverso carta giapponese. Successivamente la superfìcie è stata tamponata con spugne naturali imbevute di acqua deionizzata sempre attraverso il foglio di carta giapponese.
3a fase - Consolidamento
II consolidamento con idrossido di bario è indispensabile se si vuole restituire integrità alla malta dell'intonaco disgregata da sali solubili. La sostanza reagisce con i sali solfati, trasformandoli in solfati di bario. Inoltre l'idrossido di bario reagendo con l'anidride carbonica, ricostituisce carbonato di bario che ha le stesse proprietà meccaniche del carbonato di calcio, materiale di cui è costituito l'affresco, favorendo la ricoesione materica dell'opera.
L'operazione è stata eseguita impiegando pasta di legno rigonfiata in acqua deionizzata, strizzata ed unita ai cristalli di bario (per due chilogrammi di pasta di legno sono stati impiegati duecento grammi di idrossido di bario in cristalli).
La pasta così ottenuta è stata applicata previa interposizione di carta giapponese, per zone delimitate da contorni del dipinto, su tutta la superfìcie dell'opera. Gli impacchi sono stati lasciati agire per quattro ore, quindi sono stati rimossi. La superficie è stata quindi lavata tamponando con spugne imbevute di acqua deionizzata.
Consolidamenti dell'intonaco in profondità sono stati eseguiti a punti di resina termoplastica (Primal AC33), nelle fessurazioni, e per iniezione, all'interno delle cavità più ampie.
4a fase - Stuccatura
Le stuccature sono state eseguite con idrato di calcio e sabbia di granulometria sempre più fine in modo da ricostituire le caratteristiche della malta originale.
5a fase - Ritocco pittorico
In quest'ultima fase lavorativa ci siamo serviti di colori minerali puri, stemperati con caseinato di ammonio al 5%, diluito in acqua deionizzata. Nelle numerose parti abrase, siamo intervenuti ad abbassamento di tono, mentre la selezione cromatica è stata adottata per le piccole mancanze.